Archeologia

L'insediamento umano più antico della Valle Stura

Riproduzione, nella Taverna delle grotte, del focolare rinvenuto all'interno del "riparo sotto roccia 10" | G. Bernardi.

La montagna, ambiente ricco di risorse naturali differenziate, fin dalla Preistoria è inserita in un articolato sistema di circolazione e di scambi.
La presenza oltralpe (attuale territorio francese) di siti in altura frequentati già nel Neolitico testimonia la frequentazione stagionale anche delle alte quote, probabilmente con finalità di controllo delle vie di percorrenza durante la stagione favorevole all’attraversamento dei valichi.
Nella parete calcarea a monte dell’abitato di Aisone, si aprono cavità alternate a guglie e pinnacoli da erosione meteorica, note come sito archeologico già dalla metà del secolo scorso.

Tra le cavità vi è quella che gli archeologi hanno identificato come Il riparo sotto roccia 10 che allo stato delle conoscenze attuali è il più antico sito neolitico nelle Alpi Occidentali meridionali.
Fin dall’inizio del V millennio a. C. l’antro nella parete appare come un luogo favorevole all’insediamento umano stagionale: posto ad un’altitudine di 884 metri, è esposta a sud con facile accesso alle risorse idriche di fondovalle.

Le più recenti indagini archeologiche, condotte nel 1994, hanno permesso di delineare un quadro coerente, utile a comprendere meglio i dati di scavi precedenti. È stato possibile riconoscere le tracce di una sistemazione a scopo abitativo all’interno del riparo: piani di calpestio, impronte di buche per l’inserimento nel terreno di pali lignei e aree a fuoco. Le datazioni C 14 e i materiali archeologici rinvenuti collocano la frequentazione del riparo all’inizio del V millennio a. C., in una prima fase della cultura dei Vasi a Bocca Quadrata, con aspetti comuni agli insediamenti in grotta della Liguria (in particolare del Finalese).
Più tardi, alla fine del V millennio a.C. gruppi umani provenienti da Oltralpe occupano nuovamente l’area, testimoniando un’apertura delle Alpi occidentali a percorsi e scambi a lunghe distanze, anche motivata dalla circolazione della pietra verde lungo la dorsale alpina.

La frequentazione umana stagionale è confermata dalle ricerche archeozoologiche, che documentano come la caccia fosse la principale strategia di sussistenza: i resti faunistici analizzati sono di specie selvatiche quali caprioli, cervi, stambecchi e soprattutto orso bruno. Gli strumenti in pietra scheggiata e i manufatti in osso rinvenuti testimoniano un’intensa attività di trasformazione della materia dura animale.
Punte di freccia, schegge e lamelle in quarzo opaco e ialino dimostrano la conoscenza e lo sfruttamento dei filoni quarziferi del massiccio dell’Argentera (Vallone di Palla).
In un altro anfratto delle pareti, prossima al riparo 10, è stata rinvenuta una sepoltura infantile, che pur in assenza di elementi di corredo, testimonia una frequentazione delle grotte a scopo funerario e cultuale.