Taverna delle Grotte

Un locale per informarsi, acquistare e gustare

Interno della Taverna delle Grotte | G. Bernardi.

Gestrice: Enrica Borra
Telefono: + 39 338 7981957
Pagina Faceboook: Vai alla pagina
Servizi: bar, tavola calda e fredda, emporio di articoli vari e generi alimentari freschi (pane, salumi, formaggi, verdure e prodotti a Km0) e conservati.
Orari minimi di apertura dal 16 settembre al 10 giugno, dal martedì, mercoledì e venerdì 8-12.30 e 15.45-19.30; giovedì 8-12.30; sabato 8-12.30 e 15-19.30; domenica 8-19; lunedì chiuso.
Dall'11 giugno al 15 settembre: dal martedì alla domenica 8-20; lunedì chiuso.


La Taverna delle Grotte è un locale per fare acquisti, per gustare prelibatezze locali o prendere un caffè. Oltre a ciò è uno spazio per informarsi sulle peculiarità delle Riserva Naturale che al suo interno ospita un sito archeologico del Neolitico, prima testimonianza della presenza umana in Valle Stura. Al tema archeologico, prioritario per l'istituzione nel 2019 dell'area protetta regionale, sono dedicati gli allestimenti interni. Pannelli, vetrine con copie di reperti, oggetti e la ricostruzione del riparo 10 nel quale gli archeologi hanno rilevato tracce di un insediamento di 7.000 anni fa, presentano il valore e le caratteristiche del sito e introducono alla passeggiata su Sentiero delle Grotte.



Allestimento del soppalco

In grotta... nel "riparo 10"


1 - Focolare domestico

Una piccola cavità scandita dalla presenza di livelli grigio-biancastri ricchi di ceneri e di frammenti di roccia calcinata rivela la presenza di un focolare, posto a ridosso della parete rocciosa e delimitato da pietre, periodicamente svuotato e rigenerato.

È l’area della grotta che procura calore e luce, permette di cuocere gli alimenti e trasformare materie prime come l’osso, il legno, il corno, la pietra e i pigmenti minerali.


2 - La trasformazione del cibo

Semi combusti di orzo e farro testimoniano l’introduzione graduale di un’ economia basata sull'agricoltura, accompagnata dalle conoscenze tecnologiche relative alla fabbricazione di recipienti in terracotta.
Le scodelle a bocca rotonda e quadrata permettono di conservare e mangiare. Il fondo convesso si adatta meglio a un piano di calpestio irregolare. Macine e macinelli in pietra permettono di frantumare i cereali e trasformarli in farina.


3 - Dai semi al pane

L’impasto una volta preparato è steso su intreccio vegetale e posto a cuocere su sassi roventi tolti dal fuoco. Si ottengono prodotti non lievitati, simili a focacce o piadine.
Piatti e cucchiai sono realizzati in legno scavato.
Dalle fibre vegetali di tiglio e salice si ottengono corde, graticci e cestini intrecciati.


4 - Osso, corno e piante

Sul piano di calpestio interno del riparo potevano svolgersi attività di lavorazione delle rocce scheggiabili: schegge, lamelle, strumenti ritoccati in quarzo, in selce di provenienza locale o alpina e diaspro. Le schegge si ottengono con diversi metodi di scheggiatura con percussore duro in corno da nuclei a un piano di percussione, che sono sfruttati il più possibile. Alla produzione di schegge si affianca la produzione di lame, che privilegia la selce importata sud-alpina (Anfiteatro morenico del Garda) e francese (massiccio del Vercors), litologie che offrono migliori caratteristiche meccaniche per l’ottenimento di supporti sottili e regolari, con percussione diretta operando su un piano liscio del nucleo.
Le attività attestate sono la lavorazione della pelle (i grattatoi sono in assoluto lo strumento più rappresentato) e lavorazioni artigianali (bulini, perforatori). Prevale la produzione di armature di freccia (microbulini e geometrici) per la caccia, che riveste un ruolo preponderante nell’insieme dei manufatti individuati nel riparo.


5 - Levigatoi e lisciatoi in pietra

Levigatoi e lisciatoi in pietrasono destinati alla lavorazione di manufatti in osso, corno, pietra ceramica. I percussori sono associati alla lavorazione della pietra verde (scheggiatura e bocciardatura) o a operazioni di frantumazione di sostanze alimentari o materiali duri (minerali, degrassanti litici per l’impasto ceramico). Gli strumenti da taglio in pietra verde sono lame di asce, accette e scalpelli, dotati di un tagliente ottenuto con levigatura su mola litica. La presenza di pochi strumenti da taglio nel riparo rivela come l’attività di disboscamento non fosse ancora così intensa rispetto alle aree di pianura.


6 - Le materie dure animali

Le materie dure animali (osso,corno) usate per ricavare strumenti, punte, spatole e manici da palco provengono quasi esclusivamente da cervo e capriolo.
La scelta di questi animali è coerente con il loro sfruttamento a fini alimentari.



Allestimento delle pareti: i pannelli

"Aisone 7.000 anni fa"


1 - Aisone 7.000 anni fa

Il riparo sottoroccia 10 del complesso di grotte di Aisone è il più antico sito neolitico delle Alpi occidentali meridionali. Fin dall’inizio del V millennio a.C. la grotticella appare come un luogo favorevole all’insediamento umano stagionale: posta a un’altitudine di 884 metri, è esposta a sud con facile accesso alle risorse idriche di fondovalle.
L’analisi dei carboni di legna ha permesso di ricostruire l’ambiente circostante: nel V millennio a.C. la copertura boschiva era dominata da pino e quercia decidua, utilizzata anche come combustibile all’interno del riparo. In esso il riconoscimento di piani di calpestio, impronte di buche scavate per l’inserimento di pali lignei e aree a fuoco testimoniano una sistemazione prolungata nel tempo a scopo abitativo. Tre buche di forma ovale e scarsa profondità contenevano semi combusti di orzo e farro, specie rustiche e resistenti, che permettevano di ottenere un raccolto anche in condizioni ambientali ancora non sufficientemente sperimentate. La scelta e la raccolta di specie selvatiche costituiva una parte significativa dei sistemi di sostentamento della comunità.
La caccia era la principale strategia di sussistenza, come testimoniato dalla predominanza di specie selvatiche di cervo e capriolo tra i resti ossei conservati. Vasi profondi e scodelle a bocca rotonda e quadrata in impasto grossolano testimoniano una lavorazione della ceramica sul posto e rimandano per forma e decorazione a quelli rinvenuti negli insediamenti in grotta della Liguria costiera. Il riparo, frequentato all’inizio del V millennio a.C. in una prima fase della cultura dei Vasi a Bocca Quadrata, viene poi abbandonato per privilegiare spazi aperti più adatti all’agricoltura. Intorno al 4300 a.C. gruppi umani provenienti da oltralpe occupano nuovamente il riparo, testimoniando un’apertura delle Alpi occidentali a percorsi e scambi a lunghe distanze. Una cultura della mobilità che ha giocato un ruolo fondamentale nelle intense circolazioni tra i due versanti alpini, senza vere forme di sedentarizzazione ma probabili dislocamenti stagionali e ciclici, in un quadro di organizzazione territoriale con l’esistenza di zone di controllo della produzione e della distribuzione delle materie prime e dei prodotti finiti.


2 - Le materie prime

Le comunità neolitiche, adattandosi alle risorse locali, sviluppano efficienti sistemi di approvvigionamento di pietra verde, selce e quarzo.
La scelta del supporto più adatto dal quale ricavare i manufatti implica un processo di ricerca e selezione dei materiali più opportuni, che spesso sono reperiti in territori localizzati anche a grande distanza.
La selce scheggiata, di origine locale o importata dalle Alpi orientali (Prealpi Venete), è impiegata per realizzare raschiatoi, punte, lame e elementi di falcetto. Nonostante la scarsa attitudine alla scheggiatura anche il quarzo, reperito nei filoni del Massiccio dell’Argentera, è utilizzato per realizzare lame e strumenti per incidere e tagliare.
Con pietra verde si indicano le ofioliti, rocce metamorfiche caratterizzate da un colore sui toni del verde. Queste rocce, reperibili principalmente sulle Alpi occidentali e l’Appennino ligure, sono state privilegiate nella fabbricazione di strumenti per la durezza, densità e una particolare resistenza ai movimenti percussivi. Con le pietre verdi si realizzano manufatti con un margine tagliente e resistente, come asce e accette di forma triangolare o trapezoidale destinate al taglio di tronchi d’albero e alla lavorazione del legno.
Le funzioni di ciascuna categoria di manufatti, scheggiati o levigati, sono strettamente collegate tra loro e alla lavorazione del legno e delle materie dure animali. L’osso e il corno, usati per ricavare strumenti, manici e ornamenti, provengono quasi esclusivamente da cervo e stambecco. La scelta di questi animali è coerente con il loro sfruttamento a fini alimentari.


3 - Fili corde intrecci

L’impiego di fibre vegetali disponibili nell’ambiente circostante per creare fili e corde con la tecnica dell’intreccio ha probabilmente origine nel paleolitico superiore (15000 anni fa circa). A causa della difficile conservazione dei materiali vegetali, le prime testimonianze della produzione di corde e cesti in Europa risalgono al neolitico. Le corde si utilizzano per la costruzione di palizzate e capanne, per immanicare strumenti e sospendere i vasi con gli alimenti dal suolo. In questo periodo le fibre si ricavano da essenze vegetali scelte per robustezza, elasticità, e flessibilità e si ottengono dal libro (la parte tra il legno e la corteccia) di tiglio, salice, quercia e olmo.
Si utilizzano anche piante erbacee e arbustive come la vitalba (infestante rampicante), graminacee, giunchi, stipa, ginestra e ortica, molto utile anche per la produzione di fili da cucitura.
Dal libro di pianta si ricavano fili di spessore diverso: i più spessi dalla corteccia, mentre quelli più fini dalla parte più vicina al legno. La tecnica dell’intreccio, effettuata con il solo ausilio delle mani per realizzare cinture, borse, stuoie e cestini precede e prepara la nascita della tessitura.
Solo alla fine del V millennio a.C. si utilizzano anche le fibre animali, in particolare la lana.
Le impronte di cesti e stuoie sulla base dei vasi in argilla testimoniano la pratica dell'intreccio di fibre vegetali, mentre i tendini, ottenuti dagli animali cacciati in prossimità del sito, permettevano di costruire archi.


4 - La forma dell'argilla

Intorno al 5000 a.C. un evidente miglioramento delle condizioni climatiche, iniziato già in precedenza, favorisce un importante cambiamento dell’assetto economico e dello stile di vita delle comunità umane: agricoltura e allevamento del bestiame caratterizzano la frequentazione stanziale nelle valli alpine. Gli insediamenti sono situati preferibilmente su terrazzi di mezza costa e nelle vicinanze dei fondovalle, ma vengono occupati stagionalmente anche i ripari sotto roccia. Recipienti in ceramica e una mutata tecnica di lavorazione della pietra contraddistinguono lo sviluppo culturale di questo periodo. La ceramica documenta, per la prima volta nella storia, la capacità dell'uomo di trasformare una materia prima naturale, l'argilla, in un prodotto artificiale completamente nuovo mediante il processo di cottura in semplici fosse scavate direttamente nel terreno. La lavorazione ceramica richiedeva esperienza, manualità e senso estetico, abilità che presupponevano un periodo di apprendimento all'interno del gruppo familiare. Nel corso del V millennio a.C. in tutta l’Italia settentrionale si riconosce un gruppo culturale fortemente omogeneo,che prende il nome dai tipici vasi a bocca quadrata che lo caratterizzano. La cultura VBQ per una durata di circa un millennio è caratterizzata da un’omogeneità stilistica nella produzione ceramica e da una estrema versatilità nell’adattarsi alle diverse situazioni ecologiche e ambientali.
Alla fine del V millennio a.C. il materiale ceramico rinvenuto nei siti piemontesi e a Aisone rivela una molteplicità di influenze transalpine, dovute all’arrivo di gruppi dalla media valle del Rodano (Francia).
Bugne, prese, vasi con fondi convessi caratterizzano il nuovo repertorio ceramico, realizzato con impasti più depurati e superfici accuratamente levigate.



Gli allestimenti della Taverna delle Grotte sono stati realizzati con il cofinanziamento del Progetto TRACES – Tramettere ricerca archeologica nelle Alpi del Sud del Programma Interreg-Alcotra.